Il Pubblico
Varie grandi monografie, ristrettissime di soggetto, illustrano i due secoli del Barocco piemontese: però manca tuttora un'opera accessibile agli studiosi modesti, i quali nei soliti manuali — anche nei migliori — non trovano che scarse notizie circa l'arte piemontese di ogni tempo, nè più abbondanti ne trovano circa l'arte barocca, che pure in Piemonte ebbe manifestazioni notevolissime e sotto certi aspetti più originali e più importanti, forse, che non nella stessa Roma.
Per rimediare a questo ingiusto stato di cose si pensò di organizzare una grande mostra che permettesse agli studiosi ed al pubblico in genere di rendersi esatto conto di che cosa siano stati il Sei ed il Settecento nella sabauda provincia. Un'antologia di mobili e di arredi, di pitture, di sculture, di stoffe, di oreficerie e di libri è stata raccolta nelle sale di un palazzo che è uno dei più significativi del barocco piemontese, il palazzo Carignano. Al visitatore poi si fa capire che questo non è che un pretesto o meglio uno spunto per istradarlo a conoscere la villa reale di Stupinigi, che di quest'arte è anch'essa una sintesi, un florilegio non effimero; la palazzina dì Stupinigi è una dimora di campagna, di caccia, di svago, che sino a ieri fu abitata da angusti ospiti. Queste sono le due maggiori attrattive della mostra piemontese; ma hanno sopra tutto valore indicativo. Chi vorrà conoscere appieno quella che fu l'epoca d'oro della regione subalpina, dovrà aprire gli occhi girando per l'antica capitale sabauda; Torino annovera diverse decine di palazzi e palazzotti e chiese barocche, uno più interessante dell'altro. Tutte cose che evidentemente non potevano capire in una esposizione; eppure sono pezzi d'arte che formano la fisionomia caratteristica della città, la quale appunto due e tre secoli or sono aveva fama, anche oltralpe, di monumentale. Tutte le altre città minori del Piemonte e borghi e paesi e villaggi hanno anch'essi un loro tesoro di architetture sei e settecentesche, e buone pitture, e lavori d’arte minore assai interessanti. Terra di scoperte artistiche questa pedemontana: chi può dire di conoscere a sufficienza, ad esempio, l’opera di Francesco Gallo, architetto insigne, che gittò nel santuario di Mondovì una delle più ampie cupole del mondo? chi sa citare con esattezza qualche opera di Pier Francesco Guala, pittore degno di occupare più d’una pagina nelle storie dell’arte, non meno di qualsiasi contemporaneo romano o lombardo a tutti noto? chi ha sufficiente dimestichezza con l’arte simpatica dei fratelli Collino o di Francesco Ladatte, scultori efficaci, eleganti e misurati? La mostra piemontese serve dunque di orientamento ed ha sapore di sorpresa. Ideata già durante il ministero, all’Educazione Nazionale, di S. E. il conte C. M. Devecchi di Val Cismon, essa fu realizzata dal dottor Vittorio Viale, direttore dei civici musei della città, il quale ebbe a collaboratori l’ing. Augusto Cavallari Murat, il conte Carlo Lovera di Castiglione, l’architetto Gianni Ricci. e il segretario dott. Borbonese. L'ing. Sartirana, podestà di Torino, fu il maggiore sostenitore dell'iniziativa, tanto da gradire di presiederne il Comitato organizzatore. La grande efficacia ordinativa e l’ambientamento piacevole, didascalico senza pedanteria, ne fanno una manifestazione che è tra le maggiori che Torino abbia saputo organizzare da qualche anno a questa parte: ma l’interesse della Mostra del Barocco piemontese non sarebbe certo così alto qual è, se in essa fosse dato solo di ammirare pezzi provenienti dalle pubbliche collezioni cittadine. Il suo pregio è quello di aver messo a contributo enti civili e religiosi e privati possessori della città e di tutta Italia. Le chiese di Torino hanno inviato i loro pezzi migliori: un paliotto di seta ricamata, la chiesa della Consolata; un intero altare incrostato di madreperla e intarsiato d’avorio e di legni preziosi dal Piffetti, la chiesa di S. Filippo; un altro di legno scolpito e dorato, la chiesa di S. Agostino; piccoli capolavori che solo in eccezionali ricorrenze venivano scoperti alla vista dei fedeli. L’ospedale di S. Giovanni ha esposto la sua famosa farmacia: belli scaffali di legno scolpito, patinati dal tempo come bronzi, in cui stanno allineati panciuti barattoli dipinti e dorati, dal ricco cartiglio a volute, recante ermeneutiche scritte in latino pomposo: e storte e lambicchi di rame, e torchi e mortai: tutta un’officina di apoticario del primo Settecento, un singolare e raro complesso. La chiesa dei SS. Martiri ha inviato, tra l’altro, i suoi famosi candelabri monumentali di bronzo, e ricchi paramenti sacri; due porte a specchi, immaginose di volute dorate, provengono dal palazzo dell’Opera Pia Barolo: dalla chiesa della Misericordia il gigantesco e dorato tabellone di quella Confraternita. Gli apporti delle altre città e borghi piemontesi sono fors’anche più interessanti perchè ancor meno noti, o del tutto sconosciuti, al gran pubblico: il colossale lampadario a fogliami e fiori di legno e di ferro colorati, proveniente dalla basilica di S. Gaudenzio di Novara, è un pezzo veramente insolito; di grande ricchezza scultoria è il grande altare inviato dal municipio di Masserano; ottimi lavori di artigianato sono i cancelli di ferro provenienti da Carignano e da Orta, così come gli stalli della parrocchiale di Bianzè e moltissimi altri pezzi esposti dai più diversi paesi. Dal museo di Vienna sono pervenuti alla mostra quattro superbi pezzi di arge[n]teria da tavola già appartenenti ai Savoia; il museo Correr di Venezia partecipa con una scrivania intarsiata dal Piffetti; il Museo Leone di Vercelli con argenti e peltri vari. Numerosi poi sono i privati possessori che hanno voluto privarsi per alcuni mesi di oggetti preziosi, di mobili, di intere decorazioni di ambienti, con senso di liberalità artistica veramente ammirevole. S. A. R. I. il Principe di Piemonte ha concesso vari pezzi di prim’ordine; la casa Ducale di Genova ha inviato tre busti di cera di principesse sabaude, del castello di Agliè; il senatore Giacomo Grosso la ricca alcova monumentale di legno scolpito e dorato che tutti ricordiamo a sfondo dei suoi quadri, e vari mobili; l’architetto Giovanni Chevalley mobili, argenterie, miniature e ventagli: il senatore Isaia Levi diversi mobili, tra l’altro uno sgabello ricoperto di arazzo a «piccolo punto», caratteristicamente piemontese; il marchese Cesare Valperga di Masino e Caluso ha inviato, dal castello di Guarene, mobili ed arazzi; il cav. Pietro Accorsi ha contribuito con moltissimi pezzi: statue da giardino, argenterie, mobili, suppellettili (tra l’altro un interessante parafuoco con ricamo ed una cassetta per la legna). Il marchese Francesco Medici Vascello ha concesso un intero del rivestimento di camera dipinto su tela, a scene campestri; il conte Federico Riccardi di Netro espone uno zoccolo di camera con pannelli dipinti dal Cignaroli: il gr. uff. Werner Abegg, l’avvocato Luigi Germano, il dottor Quadrone, il marchese Fracassi ed il senatore Agnelli numerosi mobili di varia fattura; da Milano il comm. Mario Muggia ha inviato un bel canterano del Piffetti, ed un inginocchiatoio pure del Piffetti è stato mandato da Livorno dalla signora Mazzucchetti Marsaglia; dal castello di Gaglianico il conte Trossi ha fatto pervenire mobili ed argenterie. Il marchese di Breme, Emanuele Balbo Bertone, ha partecipato con un inginocchiatoio del Piffetti e con altri mobili; la signora Burroni Girotto con mobili ed argenti vari; il cav. Amleto Bertoni, di Saluzzo, ha inviato un ricco altare ed un reliquiario. Da Romail gr. uff. Michele Segre ha esposto delle argenterie profane e degli argenti sacri ebraici, i quali ultimi fan correre il pensiero agli interessantissimi pezzi di arte sacra ebraica che si trovano in certe sinagoghe del Piemonte, ad esempio in quella di Carmagnola che ha dei mobili scolpiti e dorati di fattura singolare, originale e caratteristicamente locale. È questa una delle poche lacune che la mostra presenti: chè a dire il vero essa è ricca assai, ed anche di certi pezzi che, sicuramente o probabilmente, poco hanno a che vedere con l’arte barocca piemontese. Ad esempio un puro legame storico, non artistico, unisce al Piemonte la fastosa peota, il grande barcone dorato che fu fabbricato a Venezia ordine di Carlo Emanuele III, se ne servì per andare a diporto sul Po, e che è di schietta arte veneziana. Nè è questo il solo pezzo che per che non convinca, a voler essere rigorosi: altri oggetti vi sono che non hanno il lor atto di nascita troppo in regola, in quanto a cittadinanza piemontese... Ma non bisogna dimenticare che questi sconfinamenti sono dettati dal desiderio di accrescere l’interesse che la mostra può presentare per il visitatore profano, aumentandone la ricchezza e la complessità. D’altronde discriminazioni artistico le difficili impossibili: giocoforza è dunque, in certi nel campo regionali sono assai, talora dar valore alla buonafede, e dai caso dubbi trarre maggior casi, conforto per quegli insegnamenti certi, positivi ed efficaci che questa mostra ci lascerà in retaggio. Valentino Brosio, Torino. Il Barocco piemontese, in “Emporium”, LXXXVI, 512, 1937, pp. 438-440