In occasione della
Mostra del Barocco Piemontese 1937 una vasta campagna fotografica viene organizzata per documentare non solo gli oggetti portati in sede di mostra (poi non necessariamente esposti), ma anche le sedi espositive, i contesti di origine delle opere e, in qualche caso, anche riprodurre immagini.
Paolo Beccaria è il fotografo chiamato con incarico diretto ad eseguire gli scatti e stampare i positivi, poi consegnati alla direzione della mostra.
I dati quantitativi della campagna ne restituiscono con immediatezza dimensioni e impegno teorico e pratico: i
1.345 negativi su lastra in vetro alla gelatina al bromuro d’argento allora commissionati e le quattordicimila lire di spesa sono da mettere a confronto con le
600 immagini che Viale al suo insediamento trova come preesistente patrimonio delle raccolte fotografiche dei Musei Civici e con le quasi settemila lire stanziate annualmente per la Fototeca [AFTM SMO 322; AFTM SMO 12; AFTM SMO 16].
Le lastre, tuttora
conservate presso l’Archivio Fotografico della Fondazione Torino Musei e oggetto di
ricondizionamento, restauro e digitalizzazione da parte del Centro Conservazione Restauro Venaria nell’ambito del presente progetto di ricerca, sono censite in un inventario cartaceo che, con il suo ordinamento progressivo, dichiara subito come la registrazione non sia avvenuta negli stessi tempi della mostra. Se infatti nell’elencazione generale degli scatti è possibile riconoscere la cronologia di produzione o di ingresso dei fototipi individuando in successione interi nuclei, come nel caso delle riprese per le esposizioni curate da Viale sulla Sindone 1931), su Antonio Fontanesi (1932) e sull’arte sacra aostana (1936), altrettanto non si può dire per
Barocco 1937, i cui negativi rompono la sequenzialità per andare a collocarsi subito dopo quelli eseguiti per
Gotico e Rinascimento in Piemonte (1938–1939).
L’inventariazione inoltre risulta sommaria, soprattutto se confrontata con le notazioni, per la maggior parte manoscritte da Viale, apposte sui pergamini di conservazione delle lastre, che spesso forniscono informazioni più precise e dettagliate.
Dello scatto l’inventario indica “categoria” dell’oggetto rappresentato, “località”, “proprietà”, “autore”, “soggetto o titolo”, oltre ovviamente alla segnatura univoca; di frequente accade però che nella serie indicata come “Mostra del Barocco”, o più semplicemente “Bar” o “B”, alcune descrizioni non siano complete, come nel caso dell’oreficeria e argenteria, il più lacunoso, di cui 72 dei 120 negativi passano sotto una generica denominazione “argenterie”, senza ulteriori dettagli.
Le categorie di inventariazione sono in tutto ventiquattro: “dipinti sec. XVII, XVIII (395 immagini); disegni, scenografie (155);mobili, arredi, oggetti e utensili vari (147); oreficerie, argenterie sacre e profane (119); stampe, incisioni, litografie (87); affreschi (72); stoffe, ricami, ventagli (56); maioliche (47); sculture a tutto rilievo, statue, monumenti (43); porcellane italiane ed estere (39); arredi sacri (cori, pulpiti, mobili) (32); sale, sistemazione musei, mostre (32); bassorilievi, altorilievi (24) e decorazione, ambientazione (21); legature, cuoi (17 stampe); soffitti a trave, volte dipinte, stucchi (16); ferri battuti, ghise, latte, insegne (10); arazzi e tappeti (10); miniature (ritratti sec. XVII, XVIII) (9); altari (4); palazzi, ville, giardini, case, strade, ponti, Borgo Medievale (4); bronzi, peltri, stagno, rame, piombo, ottone (2); manoscritti, documenti, atti (2); camini (1).
Una tale mole di documentazione, oltre a restituire un capillare censimento per immagini delle risorse artistiche del territorio, si colloca nel quadro di interventi miranti a sostenere la ricerca in termini di strutture di supporto: non a caso Giulio Carlo Argan nel 1967, stilando un bilancio dell’ormai trentennale carriera di Viale, ne riconosce la peculiare qualità di “magnifico costruttore di attrezzature culturali”, da intendersi non solo come Musei, ma anche Biblioteca e Fototeca [Argan,
Vittorio Viale, in
Studi di Storia dell’arte in onore di Vittorio Viale, Association internationale des critiques d’art, sezione italiana, Torino 1937, pp. 5-8, p. 5].
Nello stesso anno della sua nomina a direttore,
Viale istituisce formalmente l’Archivio Fotografico dei Musei Civici, prevedendo una dotazione annua e dando subito avvio ad una campagna di riproduzione dei “principali quadri e i più interessanti oggetti del Museo torinese”. Nel 1932 avanza l’ipotesi di raccogliere il materiale prodotto dalle diverse società di studio per costituire un “archivio dei monumenti e degli oggetti d’arte del Piemonte” e nel 1933 denuncia la necessità di un archivio fotografico dei Musei Civici constatando come le esistenti lastre “liberamente a disposizione degli studiosi” fossero sì un buon punto di partenza, ma poche, soprattutto in confronto ai ben più ricchi, ma difficilmente consultabili, archivi che le Soprintendenze avevano accumulato con l’attività di catalogo dei beni nazionali. Questo nucleo era infatti poco rappresentativo del territorio piemontese che “per un pubblico archivio è quasi terra vergine, inesplorata”. Era quindi necessario che “quest’embrione di raccolta” venisse costantemente accresciuto tramite il canale istituzionale, connesso alle ricerche del museo, e quello privato, legato ai doni e ai depositi.
Grazie alla dotazione stanziata dalla podesteria, il direttore pensava di “scegliere ogni anno, secondo un piano prestabilito, un paese, una zona del Piemonte e di andarvi a fotografare tutto il fotografabile: monumenti, affreschi, quadri, oggetti e così via, sì da radunare un’annua messe di circa due trecento fotografie”. Inoltre sarebbe stato opportuno mettere a disposizione del pubblico, secondo un ordinamento chiaro e preciso, anche quelle fotografie scattate per le ricerche personali che “sono messe per solito in un cassetto, e vi restano inutile peso quasi, che nel 90% delle probabilità va poi un giorno o l’altro disperso o distrutto”. L’archivio avrebbe dovuto conservare documenti relativi ad un arco temporale compreso tra l’età cristiana e l’inizio dell’Ottocento e riguardanti le province piemontesi, solo in un secondo momento ci si sarebbe rivolti “a ciò che abbia con il Piemonte una sicura e chiara relazione”
[V. Viale, Necessità di un archivio fotografico dei monumenti e degli oggetti d’arte del Piemonte, 1933].
Una dichiarazione di intenti e un programma di lavoro che quindi non solo denotano la necessità e la volontà chiara di catalogare per immagini il territorio, ma anche che aiutano a collocare in una più ampia prospettiva la campagna fotografica del 1937.