Il Pubblico
Nel 1937 alcune esposizioni importanti hanno fatto viaggiare gli amatori delle belle arti in lungo e in largo per l’Italia. Ma se le mostre di Firenze e di Venezia hanno avuto studiosi che ne hanno parlato con ampiezza e competenza, è mancata per la mostra di Torino, dedicata al Barocco piemontese, una vera indagine scientifica che utilizzasse il cospicuo materiale riunito per studi analitici e per confronti. Ordinata nel palazzo Carignano la mostra comprendeva oggetti per l’arredamento della chiesa e della casa, oreficerie, ceramiche, una serie di magnifici parati sacri, pitture, ricostruzioni d’ambienti, memorie di casa Savoia. Una sezione era dedicata all’architettura.
Durante il periodo barocco l’architettura piemontese s’è potuta valere dell’opera d’una schiera d’artisti, fra i quali primeggiano alcuni di grandissimo valore, come il Guarini e lo Juvarra, che hanno arricchito di compiute, grandiose sistemazioni urbanistiche, e di monumenti pregevoli Torino e le altre città della regione. La città sabauda, specialmente, testimonia ancora dell’intenso sforzo edilizio e dell’opera tenace perseguita dalla dinastia di Savoia per dare a Torino un aspetto che non la facesse apparire meno importante delle altre capitali d’Italia. Di questa, e spesso pregevole attività costruttiva, apparivano nella mostra interessanti documentazioni costituite dai disegni originali, a volte sconosciuti o quasi, di vari architetti.
Lo Juvarra figurava con schizzi e progetti, provenienti dalle collezioni torinesi e dal Gabinetto Nazionale delle Stampe di Dresda, riguardanti fabbriche, fantasie architettoniche, scenografie. Benché già noti agli studiosi erano particolarmente apprezzati i disegni per il teatrino del cardinale Pietro Ottoboni, costruito a Roma negli anni fra il 1709 e il 1715 circa, ed ora distrutto. Lo Juvarra aveva ideata una sala con i palchetti disposti secondo i lati d’un rettangolo, forma allora già abbandonata in Italia per la scarsa visibilità che offriva dai palchi laterali; nel resto l’aveva immaginata secondo il modello all’italiana, con eleganza e vivacità di linee. I francesi spesso ripetono, vantando il loro tipo di sala a balconate, che la disposizione italiana è monotona, senza pensare che quasi tutti i teatri giunti sino a noi sono stati rifatti, perdendo così la ricchezza decorativa degli edifici barocchi, della quale abbiamo un esempio in questa opera juvarriana; e che la buona sonorità, vanto dei teatri italiani, è dovuta proprio alla disposizione a palchi.
Due grandi vedute del Pannini riproducevano il castello di Rivoli secondo il progetto, non attuato, dello Juvarra. Di notevole interesse erano pure alcuni suggestivi teatrini, ricostruzioni in piccola scala di scenografie settecentesche.
Le visite a palazzo Madama, nuova sede del Museo Civico d’arte antica, e al castello di Stupinigi, arredato con mobili rococò, integravano opportunamente la mostra. Le fotografie qui riprodotte sono state gentilmente favorite dal dott. Vittorio Viale, direttore ed organizzatore dell’esposizione, entusiastico interprete delle direttive dell’ingegnere Ugo Sartirana, podestà di Torino, che a questa rassegna dell’arte barocca non ha negato nulla perché fosse degna illustrazione delle glorie di casa Savoia e del Piemonte fedelissimo.
Arnaldo Rava, Torino: la mostra del barocco piemontese, in “ Palladio”, 2, 1938, p. 34